Nel 1991, mio padre ha avuto un ictus cerebrale. I medici l'avevano ricoverato a Senigallia, per poi trasferirlo subito alle Torrette per fare la TAC. Terminati i controlli, i medici hanno detto: "Qui non c'è più niente da fare. Portatelo a casa, perché qui, per noi, è morto.".
E’ stato quindi ricoverato a Senigallia, reparto neurologia. Anche qui i medici ci avevano detto di prepararci al peggio.
Ho fatto il giro di sette chiese, per chiedere la grazia a Dio. A quell'epoca io andavo ancora in mare. Mia madre restava sempre con lui e piangeva dicendo che avrebbe voluto vivesse ancora, magari sulla sedia a rotelle.


Un venerdì sera, sono rimasto io a fare la notte, visto che il giorno successivo non andavo in mare. Durante la notte ho cominciato a toccare mio padre, la testa, i piedi, un po' tutti gli organi. Eravamo in una camera dove c'erano quattro ammalati. Quella era la camera dei condannati a morte. Mia madre, che era rimasta lì per venti giorni, ogni tanto ne vedeva morire uno. La mattina successiva alla mia notte, mio padre è stato visitato verso le nove e i medici hanno nuovamente detto che non c'era più niente da fare. Mi sono allora messo a pregare al suo capezzale e, all'improvviso, papà apre gli occhi. Mia madre, che stava al mio fianco, ha cominciato a gridare: "Professore, professore, professore!...". Mio padre si voleva alzare. Il professore ha chiesto a un’infermiera di andare a vedere cosa fosse successo. Arriva l'infermiera, la caposala credo, che s'è messa a gridare anche lei chiamando il professore. Finalmente è arrivato il dottore. Lo ha visitato per mezz'ora. C’erano dottori che  andavano e venivano di continuo e, quando uscivano, avevano il sorriso sulle labbra. Dopo tre quarti d'ora, esce il professore. Noi eravamo tutti lì fuori e ci disse questo:
"Signori, qui è successa una cosa che noi, a livello scientifico, non possiamo spiegare. Dato di fatto che noi l'avevamo visto tre quarti d'ora fa ed era morto e adesso è vivo. E non ne conosciamo il motivo."
Mio padre, dopo che è uscito dal coma, aveva le placche nella lingua. E’ stato 40 giorni ancora in ospedale e, tra le terapie che gli facevano loro e quelle che gli facevo io, dopo 50 giorni guidava l'automobile. Io avevo chiesto la grazia a Santa Rita da Cascia, lì c'è il suo zampino. Lei è la protettrice dei casi disperati. Le avevo chiesto se poteva avere cinque anni di vita e ne ha avuti sei. Dopo sei anni è morto. Questa è una grazia.