Parliamo del 1991. Un giorno, ho ricevuto una telefonata da una signora che non conoscevo, che disperata mi diceva:
"E' lei il signor Pietro?"
"Sì, mi dica"
"Io ho mio figlio ricoverato in clinica medica, alle Torrette, malato di leucemia, ha 40 di febbre. I medici non riescono a fare abbassare la febbre"
"Signora, io come faccio a venire lì da lei?".


Quel giorno non avevo la macchina, era dal carrozziere o dal meccanico, non ricordo bene. Comunque ero a piedi. Assieme a me c'era però il sindaco di Falconara, che si offrì di accompagnarmi e riportarmi poi a casa.
Dal momento che la madre si era messa in comunicazione con me, già la febbre stava sparendo. Arrivato all’ospedale, sono salito al secondo piano in clinica medica e ho visto che gli infermieri stavano cambiando le lenzuola al ragazzo, perché aveva sudato tantissimo. Ho chiesto il permesso di visita ai medici, perché quella non è casa mia, io rispetto i medici, ho toccato questa persona quel pomeriggio verso le 17.00 e la febbre è sparita completamente. Poi ho fatto altre sette sedute, a quel ragazzo, finché un giorno, verso mezzanotte o l'una, cominciai a ricevere telefonate anonime in cui mi si diceva:
"Se lei torna ancora da questa persona, noi le bruciamo la casa, perché questa è una vittima e deve morire”.
Lì si parla di messe nere. Comunque io ci sono andato. Gli ho fatto l'ultima seduta verso le undici e a mezzogiorno ero sulla via di casa. Al semaforo di Marina di Montemarciano, mentre ero fermo al rosso, mi hanno tamponato e mi hanno distrutto la macchina. L'ho dovuta buttar via.
Questa persona, da lì a tre mesi, è tornata a lavorare e a me non hanno detto nemmeno grazie. Cosa ci ho guadagnato? Ci ho rimesso la macchina. Non ho più visto questa persona, non si sono più fatti sentire, ma so con certezza che sta bene ed è vivo.